LETTERA AGLI EBREI
Seconda Scheda di sussidio
(Prima e seconda parte: non più di 30 minuti)
Prima parte:
Preghiera iniziale
Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori
e accendi in essi il fuoco del tuo amore.
Donaci la grazia di leggere e rileggere le Scritture per fare
memoria attiva, amante e operosa degli eventi di Cristo.
Donaci, Spirito Santo,
di lasciarci nutrire da questi eventi e di riesprimerli nella
nostra vita, per essere i testimoni credibili
della misericordia di Dio.
Brani in evidenza: 3,1-6; 4,14-5,10
In questa seconda parte l'autore sviluppa il tema delle prerogative
che costituiscono il sacerdote in quanto mediatore: il rapporto
con Dio e il rapporto con gli uomini.
Qui l'autore procede in ordine inverso rispetto a quello seguito
nel precedente annunzio tematico ("sommo sacerdote misericordioso
e fedele": 2,17): Cristo è degno di fede e misericordioso.
Seconda parte:
Lettura e ascolto meditati
lI
Cristo è il nuovo sacerdote degno di fede e misericordioso
3,1-5,10
1) 3,1-4,14: Cristo è degno di fede
Per il suo rapporto con Dio, Cristo è pistòs = degno
di ,fede (2,17; 3,2), cioè investito di una autorità
divina (prefigurato in questo da Mosè: Num. 12,1-8), e
deve essere ascoltato da tutti (3,7-4,14: lunga esortazione su
questa conseguenza).
2) 4,15-5,10: Cristo è misericordioso
Per il suo legame fraterno con gli uomini, Cristo è misericordioso:
la gloria sacerdotale di Cristo non lo ha allontanato dagli uomini,
con i quali rimane solidale nell'umiltà e nella sofferenza,
nell'ubbidienza fino alla morte (5,5-10).
Preannunzio tematico: proprio nella passione Gesù è
stato proclamato da Dio "sommo sacerdote alla maniera di
Melchisedek" (5,10)
Per questa duplice capacità di relazione svolge il
suo compito di mediatore sacerdotale. 3,1-6
3: 'Perciò, fratelli santi, voi che siete partecipi di
una vocazione celeste, prestate attenzione a Gesù, l'apostolo
e sommo sacerdote della fede che noi professiamo,
2i1 quale è degno di fede per colui che l'ha costituito
tale, come lo fu anche Mosè in tutta la sua casa.
3 Ma, in confronto a Mosè, egli è stato giudicato
degno di una gloria tanto maggiore quanto l'onore del costruttore
della casa supera quello della casa stessa.
40gni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha
costruito tutto è
Dio.
51n verità Mosè fu degno di fede in tutta la sua
casa come servitore, per dare testimonianza di ciò che
doveva essere annunciato più tardi.
6Cristo, invece, lo fu come figlio, posto sopra la sua casa. E
la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza
di cui ci vantiamo.
Anzitutto Gesù deve essere considerato come il sommo sacerdote degno di fede per l'autorità divina che possiede, perché nella casa di Dio non è un semplice servo come Mosè ma è il Figlio (3,1-6). Di qui seguirà l'esortazione ad ascoltare la sua voce per entrare nel riposo di Dio (3,7-4,13).
1. Quando un apostolo si riferisce ai fedeli di una comunità,
non li chiama mai "cristiani" (con questo nome i seguaci
di Cristo erano chiamati dai pagani), ma "fratelli"
e "santi". L'appellativo `fratelli" esprime il
vincolo di carità che unisce i battezzati, lo spirito che
vivifica tutto il corpo, che è la Chiesa, di cui ognuno
fa parte al modo in cui ogni membro, anche il più umile,
è prezioso per l'organismo vivente, non importa quale funzione
svolga. Preminente nella Chiesa non è teologicamente il
rapporto gerarchico, che pure esiste e svolge una funzione pastorale
fondamentale e indispensabile, ma il rapporto fraterno dovuto
alla dignità battesimale, uguale per tutti: sarà
questo, nella carità, a rimanere in eterno. L'attributo"santi"
è forse più sconcertante, perché noi siamo
abituati a relegare la santità nella sfera di certe persone
in cui essa brilla con più evidenza o spettacolarità:
i Santi canonizzati, oggetto di venerazione per gli altri fedeli.
Ma santi, ci dice la Chiesa apostolica, siamo tutti, non per nostra
virtù, ma per la grazia di Colui che ci ha salvati; universale
è la vocazione alla santità, ribadisce il Concilio
Vaticano II.
Rivolta a tutti infatti è la vocazione celeste, la chiamata,
cioè, a considerare come patria non il luogo dove ciascuno
è nato, ma la cittadinanza celeste che tutti ci spinge
a volgerci verso le realtà spirituali e invisibili, tema
questo che sarà ripreso verso la fine dello scritto (cap.
11).
"Santo" (qadosh), in ebraico, vuol dire "separato":
preso a parte dalla realtà profana per riconoscervi una
speciale appartenenza a Dio. Essere santi significa essere separati
non dall'impegno nella realtà storica, quotidiana, civica,
politica, ma dall'involgimento irresponsabile o malizioso nella
logica del peccato.
Lo sguardo deve perciò essere fissato sul Signore Gesù,
apostolo e sommo sacerdote della nostra professione di fede: apostolo
perché è inviato da Dio agli uomini, sommo sacerdote
perché li rappresenta presso Dio.
2. Fedele a Dio che lo ha fatto tale, Gesù nella sua fedeltà
è stato prefigurato da Mosè, leale amministratore
del popolo del Signore.
3. Ma tanto maggiore è la gloria di Gesù rispetto
a Mosè, quanto maggiore è l'onore di chi fabbrica
una casa rispetto alla casa stessa:
4. ogni casa, come ogni realtà, è prodotta da qualcuno,
ma è Dio che ha creato tutto.
5. Mosè fu ligio ai suoi compiti nel pascere il popolo
di Dio come un servitore, e testimoniò fedelmente ciò
che doveva essere detto dopo di lui;
6. Cristo è invece Figlio nel popolo di Dio, Signore nella
sua casa, e questo popolo, questa casa siamo noi, a patto di mantenere
la franchezza e il vanto della nostra speranza.
L'autore sviluppa questa ultima esortazione con un lungo discorso che, servendosi del Salmo 95, invita all'ascolto fiducioso e alla fermezza nel resistere alla tentazione, senza seguire l'esempio dell'antico Israele che si ribellò nel deserto e non poté entrare nella terra promessa. Solo per la fede, infatti, si può entrare nel grande Sabato di Dio, il giorno senza fine che è la piena comunione con Lui e perciò beatitudine eterna. L'antico Israele non fu fedele, e cadde nel deserto senza poter entrare nel riposo della terra promessa. Ma la promessa di Dio non può andare a vuoto: Egli fissa a noi tutti nuovamente un "oggi", l'oggi della salvezza, perché nella fede e nell'obbedienza possiamo aver parte del suo riposo.
Il suo invito è radicale: non si può sfuggire alla Parola di Dio, più penetrante di una spada affilata, che ci scruta ed alla quale dovremo rendere conto (4,12). La Parola di Dio, infatti, è viva ed efficace, a differenza della parola dell'uomo, e giunge a scrutare nell'intimo del cuore, fin le più segrete intenzioni: niente può nascondersi ai suoi occhi.
8 non indurite i vostri cuori
come nel giorno della ribellione,
il giorno della tentazione nel deserto,
9 dove mi tentarono i vostri padri mettendomi alla prova,
pur avendo visto per quarant'anni le mie opere.
10 Perciò mi disgustai di quella generazione
e dissi: hanno sempre il cuore sviato.
Non hanno conosciuto le mie vie.
11 Così ho giurato nella mia ira:
non entreranno nel mio riposo.
12 Badate, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore
perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente.
13Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura
questo oggi, perché nessuno di voi si ostini, sedotto dal
peccato.
14Siamo infatti diventati partecipi di Cristo, a condizione
di mantenere salda fino alla fine la fiducia che abbiamo avuto
fin dall'inizio.
1s
Quando si dice:
Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori
come nel gi orno della ribellione,
16chi furono quelli che, dopo aver udito la sua voce, si ribellarono?
Non furono tutti quelli che erano usciti dall'Egitto sotto la
guida di Mosè?
17 E chi furono coloro di cui si è disgustato per quarant'anni?
Non furono quelli che avevano peccato e poi caddero cadaveri nel
deserto?
18E a chi giurò che non sarebbero entrati nel suo
riposo, se non a quelli che non avevano creduto?
19E noi vediamo che non poterono entrarvi a causa della loro mancanza
di fede.
4
'Dovremmo dunque avere il timore che, mentre rimane ancora in
vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi
ne sia giudicato escluso.
2Poiché anche noi, come quelli, abbiamo ricevuto il Vangelo:
ma a loro la parola udita non
giovò affatto, perché non sono rimasti uniti a quelli che avevano ascoltato con fede. 3Infatti noi, che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo, come egli ha detto:
Così ho giurato nella mia ira:
non entreranno nel mio riposo!
Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla
fondazione del mondo.
4Si dice infatti in un passo della
Scrittura a proposito del settimo giorno: E nel settimo giorno
Dio si riposò da tutte le sue opere.
5 E ancora in questo passo: Non entreranno nel mio riposo!
6Poiché dunque risulta che alcuni entrano in quel
riposo e quelli che per primi ricevettero il Vangelo non vi entrarono
a causa della loro disobbedienza,
7 Dio fissa di nuovo un giorno, oggi, dicendo mediante Davide,
dopo tanto tempo: Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori!
gSe Giosuè infatti li avesse introdotti in quel riposo,
Dio non avrebbe parlato, in seguito, di un altro giorno.
9Dunque, per il popolo di Dio è riservato un riposo sabbatico.
ioChi infatti è entrato nel riposo di lui, riposa anch'egli
dalle sue opere, come Dio dalle proprie. i lAffrettiamoci dunque
a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso
tipo di disobbedienza.
12 Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più
tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al
punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture
e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
13 Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio,
ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale
noi dobbiamo rendere conto.
4,14-5,10: il sacerdozio di Cristo
Questo brano svolge un ruolo di primissima importanza nello
scritto, in quanto sviluppa, del sacerdozio di Cristo, l'aspetto
della compassione verso tutti coloro che hanno peccato: l'autore
mostra come la piena solidarietà di Cristo con gli uomini
sia un elemento costitutivo del suo sacerdozio.
Il brano è delimitato all'inizio e alla fine dall'espressione
sommo sacerdote (4,15; 5,1.5) e si suddivide in due parti:
1) 4,14-16 di carattere esortativo
2) 5,1-10 di contenuto teologico, consistente nella descrizione
del sommo sacerdozio nell'Antico Testamento (5,1-4) e nella sua
applicazione a Cristo (5,5-10).
4,14-16: Cristo Figlio di Dio provato in tutto
4: 14 Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande,
che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio
di Dio, manteniamo ferma la professione della fede.
15 Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere
parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo
alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
16 Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia
per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere
aiutati al momento opportuno.
14. L'autore riprende il tema, presentato precedentemente,
di Gesù sacerdote degno di fede, per avviare una fervida
esortazione. Il fatto che Gesù abbia attraversato i cieli
non indica solo la sua ascensione gloriosa, ma deve anche essere
messo in relazione con il rito antico del Kippur in cui, una volta
all'anno, il sommo sacerdote entrava nel Santo dei Santi: così
Gesù attraversa i cieli, una volta per tutte, per giungere
al trono di Dio dove esercita la sua azione sacerdotale. I cieli
sono, in questo scritto, lo scenario dell'azione sacerdotale di
Cristo, il nuovo santuario; l'attraversare i cieli esprime dunque
la nuova vicinanza a Dio degli uomini, mediante l'umanità
di Cristo che siede ormai alla destra di Dio.
Nella morte e resurrezione di Gesù si attua quel sacerdozio
prefigurato imperfettamente nell'Antico Testamento: nel sacrificio
consumato una volta per sempre (7,26-27) con valore perfetto ed
eterno. Perciò i credenti devono mantenere salda la loro
fede, vivendola e professandola, per entrare in rapporto con Cristo
e godere i frutti della sua mediazione sacerdotale.
15. Fa seguito una frase esplicativa riguardo al sacerdozio
di Cristo: la sua qualità sacerdotale non lo allontana
da noi, in quanto egli resta uomo in mezzo agli uomini, ha provato
ogni aspetto della realtà umana tranne il peccato, ne comprende
i limiti e le debolezze.
Il verbo compatire (sympathéo) non indica semplicemente
una partecipazione superficiale alla sorte di un altro, ma una
consonanza profonda di affetti: l'amore che con-patisce chi patisce.
Cristo è compassionevole perché, Figlio di Dio,
è uomo nei limiti dell'uomo, nelle prove, nella sofferenza,
nella morte.
C'è però un limite in questa comunanza: Cristo si
assimila in tutto agli uomini escluso il peccato. La sua perfetta
santità divina esclude ogni sua partecipazione alla comune
condizione umana del peccato, ma rimane compatibile con quelle
che del peccato sono le conseguenze estreme, il dolore, la morte.
Così, ciò non implica una asettica prerogativa di
impeccabilità, ma un concreto superamento del peccato in
ogni momento della sua vita, passando per la tentazione e la prova.
Ne risulta una realtà di totale assenza di peccato: una
santità necessaria a salvare gli altri (solo chi è
santo può redimere gli altri).
16. L'autore conclude con una esortazione: dopo lo sviluppo del
discorso relativo alla compassione di Gesù, si riprende
1'invito iniziale a mantenere salda la fede, questa volta inteso
come un richiamo ad accostarsi fiduciosamente a Dio misericordioso.
Questo sarà il tema del brano successivo.
5,1-10: Cristo sommo sacerdote compassionevole
In questo secondo brano l'autore mostra il sacerdozio di Cristo
dal versante del rapporto con gli uomini, cioè dal punto
di vista della compassione e della solidarietà per i peccatori.
Inizia da una definizione del sacerdote a partire dall'esperienza
del popolo ebraico (5,1-4), per poi mostrare come si applichi
perfettamente a Cristo.
5 1
Ogni sommo sacerdote, infatti, è scelto fra gli uomini
e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano
Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.
2 Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli
che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anche lui rivestito
di debolezza.
3 A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati
anche per se stesso, come fa per il opolo.
4 Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è
chiamato da Dio, come Aronne. SNello stesso modo Cristo non attribuì
a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui
6 che gli disse: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato, gliela
conferì come è detto in un altro passo:
Tu sei sacerdote per sempre,
secondo l'ordine di Melchìsedek.
7 Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere
e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo
da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito.
gPur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò
che patì
9 e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti
coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo
sacerdote secondo l'ordine di Melchìsedek.
I. Una definizione teorica del sacerdozio non si trova nell'Antico Testamento, che si limita a descrivere concretamente le prerogative dei sacerdoti, riassunte da tre caratteristiche:
a) Il sommo sacerdote viene preso fra gli uomini e per il bene degli uomini. Il sacerdote non viene da un altro mondo: è un uomo come gli altri e viene preso in mezzo agli uomini portando con sé tutto lo spessore e la fragilità dell'esperienza umana. Il senso del suo servizio sacerdotale è il bene degli uomini nelle cose di Dio, cioè il giusto rapporto degli uomini con Lui.
b) La principale delle sue funzioni
è l'espiazione dei peccati;
2. non ostante la sua dignità, però, anch'egli è
rivestito di debolezza, perciò può sentire la giusta
compassione per gli altri;
3. nel rito ebraico, infatti, il sommo sacerdote doveva offrire
sacrifici di espiazione per i propri peccati, prima di fare l'espiazione
per i peccati del popolo. Ma nel caso di Cristo, la solidarietà
con gli uomini non si manifesta nell'essere anche lui peccatore,
bensì nell'aver assunto tutte le conseguenze del peccato,
essendosi abbassato nell'incarnazione, fino alla morte e alla
morte di croce. Il suo sacerdozio supera infinitamente quello
umano.
4. c) Il sacerdote è chiamato
da Dio, come Aronne: Dio lo ha scelto con i suoi figli in mezzo
al popolo (Es. 28,1). I sacerdoti dell'Antico Testamento partecipano
di questa chiamata in quanto discendono da colui che per primo
l'ha ricevuta.
Tutto questo si applica perfettamente a Cristo. L'autore lo mostra
in ordine inverso a quanto detto finora (salvezza degli uomini
-- compassione - scelta divina), partendo dalla scelta divina
(5,5-6), passando per l'offerta di preghiere e solidarietà
umana (5,7-8), per arrivare alla salvezza degli uomini (5,9-10).
5. c') Chiamata divina (5,5-6).
Come Aronne, anche Cristo non si è attribuito da solo la
gloria del sacerdozio, ma l'ha ricevuta dal Padre. Per dimostrare
la vocazione sacerdotale del Cristo, l'autore gli applica due
passi di salmi, Sal. 2,7 ("Tu sei mio figlio, oggi li ho
generato")
6. e Sal. 110,4 ("Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera
di Melchisedek"). In questo modo ribadisce che Gesù
è il Figlio generato dal Padre e che dal Padre ha ricevuto
un sacerdozio eterno.
b') Condivisione della sofferenza
umana (5,7-8)
7. Gesù non si è arrogato da solo un compito così
grande, col carico di sofferenza che esso comportava. Anzi, durante
la sua vita terrena ha supplicato il Padre con forti grida e lacrime
di essere liberato dalla morte, imparando così l'obbedienza.
Le preghiere e suppliche con grida e lacrime sono quasi certamente
in relazione con l'episodio sinottico dell'agonia del Getsemani
(Mc. 14,33-36; Mt. 26,30-46; Le. 22,39-46), forse giunta all'autore
per tradizione orale. Tutto il contesto mette l'accento sull'umanità
del sacerdote che per rappresentare gli uomini davanti a Dio deve
essere uno di loro, per compatirli deve avere sperimentato di
persona le loro miserie. Gesù nella sua vita terrena ha
infatti sperimentato non il peccato, ma la debolezza, la paura,
l'angoscia, l'agonia della morte; ha implorato di esserne liberato;
ed è stato esaudito non nel senso che gli sia stata risparmiata
la morte, ma nel senso che è stato sottratto al suo potere
in grazia della sua pietà (termine che indica il rispetto
e la sottomissione al Padre). Subendo la morte l'ha trasformata
in un gesto di affidamento a Dio e in uno strumento di salvezza.
Le preghiere le suppliche sono state da Lui offerte al Padre:
il verbo usato, prosphéro, è quello che indica tecnicamente
l'attività sacerdotale, l'offrire in sacrificio; prima
che sul Calvario, Gesù ha celebrato la sua offerta sacerdotale
nel Getsemani, con la sua accettazione libera, anche se sofferta,
di una morte non certo reclamata positivamente dal Padre, ma dettata
dalle circostanze concrete della storia. Dalla sua coerenza, dalla
sua obbedienza.
8. L'obbedienza (hypakoé) di Cristo, appresa ed esercitata
faticosamente nella sofferenza, è l'adesione radicale al
progetto di Dio.
Il cammino di Gesù, in questo brano, è scandito
da tre participi (esaudito, reso perfetto, proclamato) che rimandano
al ruolo di Dio nelle scelte di Cristo: la sua non è una
strada solitaria, ma è avvolta dall'amore del Padre.
a') Attuazione della salvezza
per gli uomini (5,9-10)
9. L'obbedienza porta alla perfezione (verbo teleiòo),
da intendersi non tanto in senso morale come risultato di uno
sforzo personale eroico, quanto piuttosto nel senso della pienezza
ottenutacon l'aver raggiunta la meta della sua vita terrena, cioè
la gloria della resurrezione, ma anche il fine (télos)
della salvezza degli uomini, essendo il Cristo divenuto capo e
causa di salvezza dell'umanità.
Il verbo perfezionare, nell'Antico Testamento, indica però
anche la consacrazione del sommo sacerdote, per cui la scelta
di questa parola continua ad alludere alla qualità sacerdotale
del Cristo: è la sua accettazione della sofferenza, in
obbedienza al Padre, che l'ha consacrato sommo sacerdote misericordioso,
capace di compatire gli uomini. L?obbedienza di Cristo ha dunque
come risultato la salvezza eterna di coloro che gli obbediscono,
cioè accettano la totalità del suo messaggio affidandosi
all'amore del Padre.
10. L'affermazione finale anticipa la terza parte della lettera,
quella centrale (5,11-10,39) in cui si dimostra che il sacerdozio
di Cristo supera il sacerdozio levitico, ebraico, realizzando
il misterioso sacerdozio "secondo l'ordine di Melchisedek"
di cui parla SaL 110,4.
(Terza parte: non più di 10
minuti)
Terza parte: Qualche momento di silenzio per interiorizzare la
Parola ascoltata e porsi in atteggiamento orante
(Quarta parte: non più di 30 minuti)
Quarta parte: Poniamoci qualche domanda per la vita
Domande per la vita
Quale espressione o quale idea del brano letto mi ha trovato
maggiormente sensibile? Perché?
Viviamo intensamente il senso fraterno che ci deve guidare
nella vita personale e nella vita comunitaria? Sappiamo di essere
santi e di doverci comportare di conseguenza? non separati dai
problemi degli uomini, di cui dobbiamo farci carico a tutti i
livelli, ma separati dalla logica del potere, dall'arroganza dell'autosufficienza,
dalla ricerca della gratificazione a tutti i costi?
Cerchiamo di accostarci in maniera consapevole alla Parola
di Dio che è luce per la nostra vita, cercando di conoscerla
con gli strumenti che abbiamo a disposizione, e non tentando di
addomesticarla alle nostre esigenze?
Ci rendiamo conto che la nostra intera vita è la
celebrazione del nostro sacerdozio battesimale, che non deve essere
espresso soprattutto nel compiere gesti liturgici, ma nell'offrire
ogni nostro momento al Padre, mediante Cristo, nella comunione
dello Spirito Santo? Come vivo questo sacerdozio in rapporto alla
mia famiglia, alla mia professione, al mio impegno nel volontariato,
nelle associazioni ecc.?
Impariamo da Gesù la compassione, cioè non
l'intenerimento superficiale, ma il coinvolgimento profondo della
solidarietà verso i veri bisogni degli altri?
(Quinta parte: non più
di 10 minuti)
Quinta parte: Dopo qualche altro
momento di silenzio per rispondere personalmente, mettiamo insieme
le nostre riflessioni ed esprimiamo una decisione comune(Sesta
parte: non più di 10 minuti) Sesta parte:
Spunto di preghiera
Al Signore Gesù,
Lui che è il Figlio eterno del Padre, Parola di Verità
per la nostra vita, chiediamo la conoscenza della sua Parola e
la fedeltà nell'obbedienza, la santità della vita,
lo spirito di fraternità nelle nostre comunità,
l'impegno quotidiano, civico, storico
senza coinvolgimenti nelle logiche del potere, il perdono dei
nostri peccati, la misericordia verso i fratelli e la radicalità
e coerenza delle nostre scelte.