ASSOCIAZIONE ARCHEOLOGICA PIOMBINESE

La Tutela del Patrimonio Archeologico
 

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Le Grotte
  Fin dai suoi esordi, l'Associazione Archeologica Piombinese si propose fra l'altro di operare per la tutela del patrimonio archeologico di Populonia, sia affiancando le Autorità nella lotta al fenomeno dello scavo abusivo che tutelando i valori ambientali del golfo di Baratti e - più in generale - del promontorio di Piombino. Fu infatti subito chiaro che non avrebbe avuto alcun senso salvaguardare un singolo monumento, tollerando al contempo la deturpazione del contesto ambientale di appartenenza.Per un trentennio le aree delle necropoli ellenistiche di Poggio Malassarto,  Le Grotte e Le Buche delle Fate - sottoposte a saccheggio da parte di una nutrita schiera di scavatori clandestini - furono oggetto di periodici sopralluoghi da parte di membri dell'Associazione. Durante tali operazioni di controllo furono individuati moltissimi interventi abusivi, immediatamente segnalati alla Soprintendenza Archeologica della Toscana ed ai locali Comandi della Guardia di Finanza e dell'Arma dei Carabinieri.

 Poggio Malassarto
 

Se nella seconda metà degli anni Ottanta la pratica dello scavo clandestino (parzialmente sostituita dal traffico di reperti provenienti dalla Puglia e di falsi) fece registrare a livello locale una netta flessione, l'insorgere di fenomeni prima marginali - come la ricerca di superficie con l'ausilio del metal-detector e il saccheggio dei fondali - costrinse i volontari dell'Associazione a estendere i sopralluoghi non solo al territorio del Comune di Piombino, ma anche a diverse località della bassa Val di Cornia ed al tratto di costa compreso fra San Vincenzo e Follonica.

Nell'ultimo ventennio le forze dell'ordine effettuarono numerose (e spesso assai proficue) operazioni, che portarono al sequestro di migliaia di reperti. Con una campionatura di essi, nel 1989 la Soprintendenza Archeologica della Toscana, il Comune di Piombino e l'Associazione Archeologica allestirono nei locali del Centro di Iniziativa per le Arti Visive una grande mostra denominata "Il Patrimonio Disperso. Reperti archeologici sequestrati dalla Guardia di Finanza". La rassegna esponeva oltre 300 reperti recuperati in ambito comprensoriale, che provenivano non soltanto dal mercato clandestino, ma anche da ricerche di superficie non autorizzate e dal saccheggio di relitti; una specifica sezione era inoltre riservata ai falsi. Il catalogo, a cura di A. Romualdi, è tuttora disponibile presso la Casa Editrice "l'Erma" di Bretschneider.

 In concomitanza con la mostra l'Associazione Archeologica organizzò inoltre - con la collaborazione della dott.sa Romualdi e del Comune di Piombino - un convegno dal tema "Il Patrimonio disperso: quale tutela, quale prevenzione", al quale presero parte - tra gli altri - la dott.sa Licia Vlad Borrelli per il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, il dott. Francesco Nicosia, Soprintendente Archeologo della Toscana, il dott. Piergiovanni Guzzo, Soprintendente Archeologo della Puglia, la dott.sa Maria Antonietta Fugazzola Delpino per la Soprintendenza alle Antichità dell'Etruria Meridionale ed i rappresentanti del Reparto Carabinieri Tutela Patrimonio Artistico e della Sezione Tutela Patrimonio Artistico del Nucleo Centrale di Polizia Tributaria. Gli Atti del convegno possono essere richiesti gratuitamente all'Assessorato ai Beni Culturali del Comune di Piombino od all'Associazione Archeologica Piombinese

Negli anni Settanta l'Associazione Archeologica ebbe inoltre modo di intervenire più volte (e spesso in maniera determinante) a difesa del patrimonio non solo monumentale ma anche paesaggistico del promontorio di Piombino.La prima occasione di intervento si verificò nel 1970, quando venne presentato un piano di insediamenti residenziali che prevedeva la creazione di tre villaggi turistici con le relative infrastrutture. I complessi avrebbero dovuto sorgere sul Poggio Malassarto (occupato da un'estesa necropoli ellenistica) e nella parte centrale del promontorio di Piombino, in un'area boscata riconosciuta di elevato valore naturalistico dalla Commissione per la Conservazione della Natura del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Furono proprio la carta archeologica aggiornata messa a punto dall'Associazione, la consulenza fornita da alcuni suoi membri agli amministratori dell'epoca e la campagna di stampa condotta dal periodico locale "Il Punto sull'Alta Maremma" che convinsero la Soprintendenza alle Antichità d'Etruria e l'Ente Locale a respingere definitivamente il progetto.

L'anno successivo l'interesse dell'Associazione per le tematiche della tutela dei beni culturali si concretizzò nell'allestimento di una grande mostra fotografica ("Populonia: un patrimonio archeologico di cui prendere coscienza") che evidenziava il pessimo stato di conservazione del patrimonio archeologico populoniese non incluso nelle ristrette aree demaniali dei poderi San Cerbone-Casone e del Poggio della Porcareccia. Le numerose foto documentavano per la prima volta in modo assai efficace lo stato di abbandono di estesi settori del golfo di Baratti, il degrado di intere aree archeologiche o di singoli monumenti, le deleterie conseguenze dello scavo clandestino, i danneggiamenti prodotti dai lavori agricoli e industriali.

La mostra riportò un tale successo che nel 1974 venne allestita presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Siena e, successivamente, al Museo di Arte Preistorica di Pinerolo, al Museo Civico di La Spezia e presso il Gruppo Archeologico di Vercelli.

 

 Verificata l'efficacia, sul piano della comunicazione e dell'impatto sull'opinione pubblica, di iniziative quali la mostra relativa al patrimonio archeologico populoniese, nel 1973 l'Associazione allestiva una seconda rassegna fotografica intitolata - significativamente - "Le aberrazioni dell'archeologia. Aspetti diversi delle deformazioni di una disciplina scientifica".

La nuova mostra sottoponeva ai visitatori il risultato di un lungo lavoro di ricerca effettuato su quotidiani, periodici e produzione libraria, allo scopo di reperire materiale che documentasse chiaramente il ruolo svolto dai mass-media nella genesi delle molteplici ed errate convinzioni che sono state alla base di fenomeni negativi quali lo scavo abusivo, il mercato antiquario clandestino e la tesaurizzazione del reperto archeologico.

La rassegna era suddivisa in cinque sezioni: a) L'archeologia come ricerca di tesori; b) L'archeologia come mistero e come leggenda; c) L'archeologia come passatempo domenicale; d) L'archeologia come collezionismo; e) I reperti archeologici come materiale da arredamento. Essa era costituita da numerosi pannelli contenenti riproduzioni fotografiche od originali di articoli, inchieste, servizi speciali e pagine di volumi, che affrontavano in modo tutt'altro che scientifico le tematiche archeologiche. La risonanza dell'iniziativa (la prima del genere mai realizzata in Italia) fu tale che ad essa fu dedicato anche un ampio servizio televisivo , messo in onda sul primo canale Rai, nella rubrica "Cronache Italiane". Anche questa mostra venne successivamente trasferita nelle sedi museali che avevano ospitato l'esposizione relativa al patrimonio archeologico di Populonia.

 
 L'improrogabile necessità di tutelare efficacemente il comprensorio di Populonia con i suoi rilevanti valori storico-ambientali venne riproposta nel corso di un convegno organizzato nell'ottobre del 1972 dalla Provincia di Livorno. Le stesse tesi furono inoltre ribadite due mesi dopo, in occasione del Convegno Regionale dei gruppi spontanei di ricerca archeologica. Nella sede fiorentina veniva rinnovata la richiesta di istituzione di un parco archeologico-naturalistico che comprendesse - oltre al golfo di Baratti ed al suo retroterra - un'ampia porzione del promontorio di Piombino. Era infatti questo, a nostro avviso, l'unico provvedimento capace di difendere il territorio da ulteriori tentativi di lottizzazione e dalla piaga dello scavo clandestino.

 
 

 Nel maggio del 1975 l'Associazione Archeologica interveniva ancora una volta in modo determinante per sventare un tentativo di lottizzazione abusiva nell'ambito del golfo di Baratti. Essa denunciava infatti alla Soprintendenza alle Antichità d'Etruria ed alla Regione Toscana l'inizio di un progetto di frazionamento delle aree del Piano e del Poggio delle Granate, sottoposte a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 1497 del 29/6/1939 ed a vincolo archeologico ex lege 1089 (1/6/1939) per la presenza di importanti necropoli villanoviane, orientalizzanti e di età ellenistica, solo parzialmente esplorate da parte di Antonio Minto.

Oltre a segnalare il fatto alle Autorità competenti, l'Associazione provvide ad attivare un vasto movimento di opinione favorevole al blocco dell'iniziativa ed all'acquisizione al pubblico demanio delle aree in oggetto, intervenendo ripetutamente sulla stampa locale, promuovendo raccolte di firme tra la cittadinanza e organizzando dibattiti presso alcuni Consigli di Quartiere. In seguito al tempestivo intervento della Soprintendenza alle Antichità, della Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie di Pisa e dell'Amministrazione Comunale di Piombino i responsabili del frazionamento abusivo e gli acquirenti dei lotti venivano denunciati alla magistratura e condannati. Nel settembre del 1978 il Ministro per i Beni Culturali e Ambientali manifestava la volontà di esercitare il diritto di prelazione sull'intera zona delle Granate e due anni dopo il Consiglio Comunale di Piombino deliberava l'esproprio di tali aree, destinate a verde pubblico dal Piano Regolatore Generale.

In altri due distinti momenti (1974-75 e 1980) l'Associazione Archeologica contribuiva a bloccare sul nascere la realizzazione di un vasto complesso edilizio che avrebbe dovuto sorgere in località Poggio del Molino, ad opera di una società svizzera. L'area prescelta era costituita ancora una volta da un tratto di costa di rilevante valore paesaggistico-ambientale, sul quale erano sorti nell'antichità un grande insediamento del Bronzo Finale ed una villa marittima di età romana.

 
Nella prima fase della vicenda si rivelò ancora una volta essenziale il ruolo svolto dal mensile "Il Punto sull'Alta Maremma", mentre dal 1980 l'Associazione intervenne in prima persona, fornendo agli Enti preposti alla tutela la cartografia archeologica aggiornata e suscitando pubbliche prese di posizione da parte di associazioni culturali, partiti politici e gruppi di cittadini. La Soprintendenza Archeologica intervenne solertemente nella vicenda, incaricando la dott.sa Daniela Cocchi di eseguire un primo sopralluogo nelle aree interessate dal progetto e affidando successivamente al dott. Marco Ceccanti l'incarico di condurre uno scavo preliminare, per accertare lo stato di conservazione dell'insediamento protostorico (1981). In seguito agli incoraggianti risultati di tali ricerche, dal 1985 al 1997 la zona fu oggetto di annuali campagne, coordinate dalla dott.sa Antonella Romualdi e sotto la responsabilità scientifica del dott. Fabio Fedeli; gran parte del personale era costituito da volontari dell'Associazione Archeologica. Nel 1984 ebbe inoltre inizio l'esplorazione della villa romana, affidata dalla Soprintendenza al Dipartimento di Scienze dell'Antichità dell'Università di Firenze.

 

Sempre nel 1980, prendendo in esame il Piano Regolatore Generale del Comune di Campiglia Marittima, l'Associazione Archeologica ebbe modo di verificare che l'area sulla quale insisteva la Rocca di San Silvestro con il relativo borgo era stata destinata ad attività estrattive; ciò avrebbe determinato - in tempi brevi - la totale distruzione di quell'importante insediamento medievale.Avendo ben chiaro l'interesse del sito per le future indagini, l'Associazione Archeologica - che già negli anni Settanta aveva effettuato sopralluoghi nell'area della rocca, riscontrandovi la presenza di scavi clandestini - provvide ad inoltrare immediatamente al Comune di Campiglia Marittima delle osservazioni al P.R.G., prendendo nello stesso tempo contatto con il prof. Riccardo Francovich (già a suo tempo accompagnato in visita al complesso) affinchè intervenisse presso la Regione Toscana per assicurare la tutela dell'insediamento. Nelle osservazioni, che vennero accolte integralmente dal Comune di Campiglia, si chiedeva tra l'altro che l'intera valle dei Manienti venisse destinata a parco naturale, dato l'elevatissimo valore ambientale del sito. A partire dal 1984 il Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell'Università di Siena dette inizio ad una serie di periodiche campagne di scavo nel complesso di San Silvestro, che costituisce attualmente il fulcro dell'omonimo Parco Archeologico Minerario.  

Negli anni successivi l'Associazione Archeologica intervenne più volte a tutela del patrimonio monumentale del centro storico di Piombino. Nel 1981 essa manifestò infatti il proprio dissenso nei confronti del progetto di ristrutturazione dell'ex "Pensione Luisa", che prevedeva la costruzione di un grande complesso alberghiero in acciaio e cristallo ad immediato ridosso dell'antica cinta muraria e del sistema difensivo del Torrione-Rivellino (XIII-XV secolo).

Nel 1988, inoltre, il Consiglio Direttivo dell'Associazione si schierò contro il progetto di ampliamento del "Porticciolo" mediceo di Marina, che avrebbe a suo avviso deturpato gravemente una delle parti più significative del centro storico. Per contrastare più efficacemente l'attuazione del progetto, il cui iter era già molto avanzato, l'Associazione aderì tra l'altro ad una mostra itinerante del WWF che aveva lo scopo di illustrare i danni arrecati alle coste toscane dall'integrale realizzazione del piano regionale dei porti turistici. Nell'ambito della mostra l'Associazione Archeologica curò ovviamente la sezione dedicata all'approdo di Marina, realizzando tre grandi pannelli di documentazione fotografica con i relativi testi.

Il progetto di ampliamento del "Porticciolo" venne approvato dalla Regione Toscana, ma con modifiche e limitazioni tali che l'Amministrazione Comunale ritenne opportuno accantonarlo definitivamente, incaricando i tecnici della formulazione di un nuovo piano.

Nel triennio 1986-1989 i volontari dell'Associazione si assunsero infine - per conto della Soprintendenza Archeologica della Toscana - l'incarico di tenere sotto costante controllo i lavori di metanizzazione eseguiti nell'intero centro storico. Come era da attendersi, le escavazioni misero in luce a più riprese strutture di età medievale e rinascimentale, che richiesero talvolta l'esecuzione di immediati interventi di emergenza e portarono al recupero di ingenti quantità di materiali.